mercoledì 26 giugno 2013

RECENSIONI: Il favoloso mondo di Amèlie


Film francese del 2001, che io consiglio caldamente.

E’ la classica pellicola per ragazze sognatrici, che in un certo senso sperano in una esistenza migliore o che, come la protagonista Amélie, vivono in un universo tutto loro.

Il mondo esterno appare così morto che Amèlie preferisce sognare una sua vita in attesa di avere l’età per andarsene”. L’ho fatto anch’io. Lo faccio. Sognare una vita inesistente, immaginarla, aspettando che prima o poi si realizzi. Fa stare in pace, mette serenità e soprattutto dà speranza.

E insomma, Amèlie vive un mondo come piace a lei, in modo semplice e sereno, cogliendo dei dettagli che pochi altri noterebbero.

“Al cinema mi piace molto voltarmi nel buio ed osservare le facce degli altri spettatori e poi mi piace cogliere quei particolari che nessuno noterà mai”, appunto. Nella vita reale poche persone lo fanno, perché si è talmente concentrati sulla meta finale da non fermarsi ad osservare i piccoli dettagli lungo il percorso.

Si perde in domande futili, che pone a se stessa, ma che sono al contempo le più interessanti: “[…] Si diverte a porsi domande cretine sul mondo o su quella città che si estende davanti ai suoi occhi. Per esempio, quante coppie in questo preciso istante stanno per avere un orgasmo?”.

Nel corso del film, la nostra protagonista, interpretata per altro da quella gran bellezza di Audrey Tautou, dotata di un viso spettacolare e di un nasino perfetto, aiuta i suoi amici, colleghi, conoscenti ed anche sconosciuti ma che sono legati a lei da fili sottilissimi e dal caso, ad essere in qualche modo più contenti e soddisfatti mediante piccoli e semplicissimi gesti che alla ragazza non costano assolutamente nulla. Ad esempio, la rapida scena del cieco: Amèlie prende per il braccio il cieco della sua città e lo accompagna per un tratto di strada, descrivendo nel frattempo ciò che sta accadendo nello spazio circostante: “Dal macellaio c’è un bambino che guarda un cane che guarda i polli arrosto”.

In questo modo ha reso partecipe del mondo quel vecchio cieco che probabilmente non ricordava più come fosse la vita della sua città.

Ma Amelie non è l’unico personaggio particolare del film, difatti è circondata da soggetti le cui peculiarità e il loro essere eccentrici sono volontariamente (penso) esagerati: la collega ipocondriaca, il fissato ed iper-geloso uomo del bar, il “vicino-di-vetro” che per una malattia delle ossa deve stare attento a non sbattere contro le cose e per questo in casa si muove con delle morbide protezioni, ricordando quasi un giocatore di rugby alle prime armi (non chiedetemi perché), il fruttivendolo infame e il suo tenero e tardo aiutante. E via così.

Perciò la nostra Amelie si muove in questo universo tanto surreale (reso quasi più magico e sereno da quella specie di “patina gialla”, credo voluta. Guardando capirete di cosa parlo), ma anche a lei capita di ritornare alla realtà dei fatti.. e finisce per piangere, rendendosi conto di sentirsi effettivamente sola.
 

In una scena precisa lascia intravedere quel velo di tristezza che accomuna tutte le persone, ma che in lei è il più delle volte nascosto da sorrisi e dolce ingenuità.

“Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro. Lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!”

Anche questo insegna il film: ok vivere in un universo creato su misura per noi stessi, che fa stare bene, ma bisogna anche scontrarsi con la vita che ci si pone davanti.

 

Mi è piaciuto il fatto che per descrivere i vari personaggi siano state elencate cose che a loro piacevano e non piacevano: “A Raphaël Poulain non piace: fare pipì accanto a qualcuno; sorprendere uno sguardo di disprezzo sui suoi sandali; uscire dall'acqua e sentirsi il costume appiccicato addosso. A Raphaël Poulain piace: strappare enormi pezzi di carta da parati; mettere in fila le sue scarpe e lucidarle con cura; svuotare la scatola degli attrezzi, pulirla bene, e riporre tutto, alla fine.”

Ed ho anche apprezzato la musica di Yann Tiersen. Sì. Perché la musica e la colonna sonora può cambiare il modo di percepire il film.



 

lunedì 3 giugno 2013

Oh mio Dio, sta vaneggiando

 
Boh, avete presente quando sentite il bisogno di scrivere qualcosa o di sfogarvi, ma non avete idea di che cosa parlare? Ho davvero voglia di scrivere un post, ma non so quale potrebbe essere l'argomento. Perchè deve essere interessante, deve attirare l'attenzione. Deve essere letto. Beh oddio, non per forza infine. Anzi sì, altrimenti non spiattelerei le mie cose su un sito internet, ma mi attrezzerei con carta e penna e inizierei con "Caro Diaro".
Oggi credo di aver mangiato troppo. Sì, troppo. O forse ho mangiato in normal misura,  ma non bene. E' strano come una semplice azione che è l'infilarsi qualcosa di commestibile in bocca (il doppio senso non è voluto, pardon) possa creare nella mia mente turbe psicologiche tali da farmi sentire in colpa e tali da farmi detestare lo specchio che riflette il mio corpo.
La mente umana è così complicata, così magica. Ed io voglio studiarla.
E voglio anche viaggiare. Tipo mi piacerebbe visitare l'India. Non so perchè, eh, non la conosco neanche così bene, ma mi attira. E il Giappone, per i manga, gli anime, comunemente detti "cartoni animati". Ecco che fa la saputella, penserete. Eeeh, c'è gente che si comporta così: parla, molto spesso a sproposito, di cose di cui non sa un beneamato cazzo di straniente. Sono le persone che meno sopporto. Voglio dire, se non sai di che cosa si tratta, taci.
Ci sono altri tipi di persone che non reggo: gli appiccicosi, chi fa la vittima, quelli troppo esuberanti.
E magari faccio parte di tutte queste categorie. Infine chi conosce fino in fondo se stessi? Io no di certo.
Vorrei mangiare.
Non rileggo neanche, pubblico a cazzo. Poca voglia. Ciao.